Quali sono i rischi del via libera dell’UE all’olio tunisino?

Il sì dell’Unione Europea all’importare altre 35mila tonnellate di olio dalla Tunisia senza dazi per gli anni 2016 e 2017, dunque senza tasse aggiuntive, ha suscitato non poche polemiche, a partire dai piccoli agricoltori fino ad arrivare alla Coldiretti: unanime è il coro che si dichiara spaventato per l’ulivocoltura italiana.

La domanda di olio negli anni è cresciuta in maniera esponenziale, anche perché si sono aggiunti tra i Paese che lo consumano abitualmente, anche il Giappone e gli Stati Uniti, e l’offerta non sempre ha saputo soddisfare la richiesta perché l’andamento della coltivazione di ulivi dipende molto dall’andamento climatico, e la quantità dell’olio prodotto varia in base alla resa delle olive.

Il problema però non è quello relativo al rapporto tra domanda e offerta ma l’aver fatto entrare in casa nostra delle probabili frodi e una concorrenza sleale alla quale i piccoli produttori che basano la loro attività sulla qualità dell’olio difficilmente potranno far fronte. Chiariamo meglio: se l’olio tunisino richiede costi di produzione più bassi (una manodopera pagata poco che è essenziale nella produzione dell’olio, specie nella fase della raccolta delle olive), le produzioni nazionali e locali hanno due scelte: o abbattere i costi di produzione o vendere ad un prezzo inferiore. La risultante comunque resta un probabile ribassamento della qualità.

Si spiega dunque la ragione che muove differenti parti sociali a dichiararsi contrarie a questo provvedimento europeo che ha visto 500 voti favorevoli, 107 contrari e 42 astenuti. I dati inoltre indicano che già nel 2015 si è riscontrata un’importazione di olio dalla Tunisia di oltre 90 milioni di chili (ovvero una maggiorazione del 481%).

Un altro pericolo da non sottovalutare è quello della frode, che l’olio della Tunisia venga mescolato con quello nazionale, coperto da un’etichettatura confusa che rimandi al brand italiano e dunque ambiguo per i consumatori. Questo fenomeno, nella realtà abbastanza diffuso e non semplice da arginare, comprometterebbe non soltanto un’annata di coltivazione di ulivi ma in senso più generale un brand, un marchio, un modo di concepire l’agricoltura e l’alimentazione, quello che verosimilmente viene indicato come eccellenza del Made in Italy, e invece alla resa dei conti subisce pesanti danni e viene lasciato in balìa della casualità.

C’è da aggiungere che il Paese nord africano si avvale già di un accordo Ue-Tunisia che prevede una quota di più di 56mila tonnellate di olio importante senza dazi, che sommate alle recenti 35mila fanno sì che si raggiunga una quota di 90mila tonnellate che vivono in una sorta di zona franca; una minaccia economica, culturale e professionale ad un settore che specie nel sud Italia profonde impegno e passione alla ricerca della qualità, all’insegna di quell’italianità che dal resto del mondo tendono ad emulare.

Dure sono state anche le reazioni politiche, dal M5S nello specifico si sono visti attacchi al Ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina, reo secondo determinate correnti politiche, di rappresentare con molta debolezza e demagogia, le produzioni locali e nazionali di olio, e il rispetto e la chiarezza nei confronti dei consumatori, sempre meno tutelati.

Foto: Italiaprimapagina

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